venerdì, luglio 07, 2006

Voyeur

Domenica.
Giornata splendida, spiaggia.
Seduto sulla sdraio, al'ombra, leggo il mio libro.
Ma non solo.
Da sempre ho il vizio di non essere solo di passaggio.
Io scruto. Sempre.
A volte anche con effetti quasi comici, come quando mia moglie mi ha sorpreso a leggere un articolo scritto su un pezzo di giornale usato per non sporcare il fondo dell'ascensore.
Osservo, non guardo.
E in una spiaggia, dove ogni ombrellone è un microuniverso a sè, di cose da osservare, sentire, carpire, ce ne sono a bizzeffe.
Dietro al mio libro tento di capire che coppia sono i due giovani lì nella fila davanti un po' più a sinistra, o quanto sono arricchiti i cafoni che mi stanno dietro.
Cosa dice la mamma al bambino lagnoso e quelle due? Non me la contano giusta.
Gli occhi, le orecchie e la mente continuano a lavorare alacremente, senza sosta.
Ogni tanto il libro si abbassa. Mi chiedo quanti stanno facendo come me e cosa si stiano chiedendo del sottoscritto.
La coscienza degli altri, il sentire il loro essere, il tentare di capire il loro momento, c'è sempre stato.

Ci sono alcuni momenti in cui questa fissazione si è fissata in maniera più profonda nella mia mente, momenti che ancora adesso ricordo distintamente, due di questi sicuramente hanno contribuito a coltivarla.

Adolescente, con l'amico delle discussioni sul senso della vita, una di quelle sere.
La nostra privilegiata finestra sul mondo, una terrazza in cima alla collina di Coronata, ai nostri piedi la Val Polcevera, quello che noi chiamavamo "Il Plastico".
Case, strade, luci...gente.
Una di queste sere, brezza nella direzione giusta, vediamo arrivare un treno alla stazione di S.P.D'Arena. Brezza giusta vuol dire aria limpida, ma anche suoni amplificati.
Sentiamo i freni, lo vediamo fermarsi e ci rendiamo conto che gli usuali rumori, le porte che si aprono, le voci e i passi di chi scende e di chi sale, i saluti ci giungono chiari come se noi fossimo sospesi a pochi metri dal binario, e siamo invece a qualche chilometro.
Infine una porta viene chiusa, sbatte.
Una sensazione quasi fisica.
E improvvisamente vengo riempito della consapevolezza di tutte le persone con le loro vite che hanno transitato per quel binario in quel momento, persone che non sanno che un po' di quel momento gliel'ho rubato a distanza.
E di questa consapevolezza rimango affascinato, ma anche turbato.

Aprile 1994.
Volo Cathay Pacific Roma - Hong Kong. Volo di andata del viaggio di nozze.
Fino a quel momento avevo preso l'aereo solo tre volte, un Roma - Genova di ritorno da un'andata in treno e un'andata (felice) e un ritorno (molto più mesto) Genova - Londra per la mitica finale di Coppa Campioni (l'ultima, prima che diventasse Champions League) a Wembley della Samp.
Quello era diverso.
14 ore sopra a mezzo mondo, deserti, montagne, l'Oriente.
Per la maggior parte immerso nel buio del cielo e nel buio di zone così poco abitate da risultare inquietanti.
La mappa che tra un film e un notiziario insulso indica a che punto siamo, nel pieno della notte "annuncia" che si dovrebbe essere sopra Nuova Delhi.
Guardo giù dal finestrino, che fino a quel momento aveva restituito solo sparute luci in mezzo al nulla, e gli occhi vengono invasi da un mare di luce.
Immenso.
E istantaneamente le luci diventano nella mia mente milioni di persone, sveglie, dormienti, ricche, povere, felici o disperate.
Case, giardini, bidonville, strade, macchine...è tutto lì, sotto ai miei occhi.
Nessuno sa che io sto guardando.
La sensazione quasi fisica del portello del treno diventa totalmente mentale, ma egualmente travolgente, affascinante, inquietante.

Da quella volta non ho mai smesso di guardare dai tanti finestrini di aereo, ogni volta pensando a tutti quelli che in quel momento stavano vivendo la loro vita.
Ho dei flash di alcuni landing approach, soprattutto in città americane tipo Chicago, o Sacramento, dove dal finestrino dell'aereo riesci a vedere le strade, le macchine, dentro le macchine.
E poi una cosa molto personale: tornavo da Barcellona, e tutta la costa ligure mi stava accompagnando, e all'improvviso lì sotto di me l'inconfondibile profilo di Varigotti e Punta Crena. Sapevo che i miei figli erano in spiaggia, improvvisa l'urgenza di chiamarli, di dirgli "guardate su, vedete la scia? Sono io, ragazzi, sto arrivando", l'impossibilità di farlo che rende quel contatto monodirezionale....anche in quel caso...voyeur...

Questa cosa, ora la faccio continuamente, in macchina mentre guido, al lavoro mentre scrivo, al mare mentre prendo il sole.
Il mio terrazzo, che da su un punto di transito regionevolmente frequentato, è, da questo punto di vista, affascinante. Finestre, negozi, macchine, gente che cammina, l'autobus, i motorini carichi di pizze...

Il mondo dei blog è quasi troppo.
Esiste una parola inglese che non so se ha una traduzione in italiano: overwhelming.
Migliaia di persone che si raccontano, che ti permettono di "guardare" quello che gli succede, che si svelano.
A volte rischio di perdermi.
Ho trovato alcuni punti di riferimento: Ele (la colpevole, quella che mi ha spinto a scrivere di più e a farmi "vedere" dagli altri...come "voyeur" non amo espormi troppo..), Elettra (volubile, ermetica, affascinante, poetica), PG (la pragmatica scrittrice), Ciccio (nonostante non sia ancora venuto a farmi visita).
Pochi altri compagni di penna.
Quasi tutte donne, qualcuno noterà.
In effetti con Ciccio il dialogo è difficile e quasi sempre conto terzi.
Credo che sia nella nostra natura: tendiamo a muoverci in questo mondo come dei galli nel pollaio, i nostri blog (anche il mio, inutile negarlo) sono delle esposizioni del nostro ego, le nostre creste.
Esponiamo pareri, scriviamo poesie, emettiamo sentenze...ci raccontiamo poco.
Almeno questo è quello che mi è sembrato nei (non molti) blog maschili che ho frequentato.
A un voyeur questo non piace.
Lui vuole carpire, non visto, la faccia nascosta della gente.

Forse, prima o poi, riuscirò a sorpassare questo guado, a far diventare il blog non la mia coda di pavone ma il posto in cui racconto me stesso, le mie forze e le mie debolezze.
Confesso di avere paura.
Confesso di avere un'altro blog, dove questo qualche volta è successo, che però ho tenuto privato.
Lo confesso.
Questa, forse, è un po' tutta una confessione.
Il primo passo?

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Nella vita non si fanno altro che primi passi.
Differenza tra blog maschili e femminili? Io non la vedo, io vedo solo delle persone che si raccontano.
Anche quando non parlano direttamente di se ma illustrano notizie di cronaca o altro. Perchè è impossibile non lasciare un profonda parte di se stessi in ogni cosa, in ogni parola, in ogni frase scelta.
C'è chi, come papaki, racconta più spesso della sua vita quotidiana. Chi come Elettra la filtra attraverso piccoli tratteggi di pennello. Chi come DisGuido espone e si espone con chiarezza. Chi come me lascia intravedere sfocati accenni di vita.
Chi, come te, cura ogni particolare e forse, forse, soppesa con attenzione ogni parola per evitare chi sia troppo esposta o troppo poco.
In media stat virtus?
Resta il fatto che siamo entità, con una propria vita forse monotona forse no, che scelgono di respirare un po' nel virtuale e aprire la propria mente ad altri. Nel bene e nel male.
In fondo è come se conoscessimo a fondo delle piccole porzioni della vita altrui senza però sapere nulla di chi ce la racconta.

(pragmatica? ollallà!)

Anonimo ha detto...

Ciao, ho letto il tuo post "Voyeur" e mi ci sono ritrovato, anche io appartengo alla schiera dei curiosi delle vite altrui, delle loro storie, della loro apparenza e dei loro segreti. Sarà per questo che sono un accanito lettore di romanzi che in un certo modo soddisfano la mia bramosia di conoscere; pensavo di essere il solo a leggere qualsiasi cosa scritta, da un foglio di giornale accartocciato a un bigliettino lasciato su una saracinesca o su un'auto....
nello stesso tempo mi viene difficile accettare che gli altri possano fare lo stesso su di me, ho difficoltà nell'espormi, nel mostrare aspetti del mio carattere, della mia vita; ho, anche io, un blog ma è la trasposizione virtuale della mia libreria e dei miei album fotografici, "parentesi graffa" nel commento al tuo post dice che anche questo è un modo di parlare di sè, indiretto forse ed è già tanto per un ex-timido.
ti lascio i miei saluti, e un interrogativo, due voyeur possono essere amici? o nasce la competizione a chi scopre più cose?
ti saluto, felice di aver trovato affinità elettive.

Anonimo ha detto...

NOn è vero che non sono passato a far visita piuttosto non ho mai lasciato impronte ma è perché sono parekkio impegnato al momento... ;o)
alla prox per discorsi seri et impegnativi... adesso è troppo tardi... guarda quanto scrive la graffa!
DisGuido

Anonimo ha detto...

leggo il tuo post e sorrido dietro al pc, i colleghi mi guardano immaginano che non sto lavorando poi rido in modo più aperto...quanto è vero!!!lo faccio anch'io in spiaggia soprattutto quando sono a pancia in giu sul lettino e rischiando un torcicollo cronico con un occhio aperto ed uno chiuso mi incanto sulle situazioni accanto ed immagino commentando fra me....
un altra cosa che adoro è quando sono in macchina e passo per le strade soprattutto in inverno guardare velocemente dentro le case attraverso le finestre illuminate ed immaginare situazioni e persone...in metro molte volte ho pensato delle persone accanto a me che ognuna di loro aveva una storia ed un destino incrociato magari con una persona che in quel momento era sul vagone davanti...
in macchina? quando becco la coppia che s'incazza e litiga MI INCANTO!!!! ma non perchè sono impicciona, mi incuriosiscono i motivi, le reazioni, quel gesticolare muto ma molto eloquente che vedi attraverso il vetro, in quei momenti vorrei essere invisibile e mi sa che non sono la sola......
Marco scrivi sempre in un modo adorabile leggerti è veramente piacevole!
ciao RAFFA